Per addebitare qualche responsabilità alla clinica dove è avvenuto il parto sarebbe servita una prova sulla ferma intenzione della donna di abortire in caso di malformazione del feto
Niente risarcimento per i neogenitori che solo al momento della nascita hanno appreso che il figlio è affetto dalla sindrome di Down. Fondamentale un dettaglio: né la madre né il padre del bambino hanno dato prova della loro ferma intenzione di fare ricorso all’aborto in caso di accertamento di una malformazione del feto. Impossibile, in sostanza, addebitare responsabilità alla clinica dove è avvenuto il parto. I due neogenitori hanno contestato alla struttura due mancanze, cioè quella di non averli informati della possibilità di fare l’amniocentesi per individuare la malattia e quella di non avere prescritto ed effettuato esami diagnostici durante le prime tre settimane di gravidanza, consigliati per le donne incinte in età avanzata ed utili ad individuare la patologia che ha colpito il feto. Sul fronte degli esami strumentali, però, è emerso che neanche da un’analisi morfologica eseguita alla diciannovesima settimana era dato evincere la malformazione. Ma ciò che conta, secondo i giudici, è soprattutto che la donna avrebbe dovuto dare prova di essere pronta, se adeguatamente informata sulla malattia del feto, all’interruzione della gravidanza. E invece questa prova è mancata, anzi i due genitori non hanno neanche fatto cenno alla possibilità di fare ricorso all’aborto in caso di accertata malformazione del feto. (Sentenza 36645 del 25 novembre 2021 della Cassazione)