Danno a distanza di anni dalla trasfusione con sangue infetto: il diritto al risarcimento sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi della malattia

I giudici chiariscono che il danno non consiste nella semplice lesione dell'integrità psico-fisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona

Danno a distanza di anni dalla trasfusione con sangue infetto: il diritto al risarcimento sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi della malattia

In caso di danno cosiddetto lungolatente, cioè che può verificarsi a distanza di tempo rispetto al momento in cui si è prodotto - come, nel caso specifico preso in esame dai giudici, la contrazione di epatite C, asintomatica per più di venti anni, derivante da trasfusione -, il diritto al risarcimento del danno biologico sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell'infezione. Ciò perché il danno non consiste nella semplice lesione dell'integrità psico-fisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona, sicché, in mancanza di dette conseguenze, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno in re ipsa, privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica tra evento ed effetti dannosi. Questi i paletti fissati dai giudici, chiamati a prendere in esame l’azione giudiziaria con cui un uomo ha chiamato in causa il Ministero della Salute e un’Azienda Ospedaliera, allegando di essersi sottoposto nel 1969 ad una trasfusione di sangue , a seguito della quale gli veniva diagnosticata un’infezione cronica da epatite C, e di aver subito nel 2001 un aggravamento delle proprie condizioni di salute. (Sentenza 5119 del 17 febbraio 2023 della Corte di Cassazione)

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