Il marito accusato di maltrattamenti va allontanato dalla casa familiare
Inutile la rilevanza per cui la moglie voglia tentare di riprendere la convivenza. La priorità è, infatti, quella di tutelare le due figlie della coppia

La Cassazione conferma l’allontanamento e il divieto di avvicinamento per l’uomo accusato di maltrattamenti in famiglia. Irrilevante, secondo i giudici, il fatto che la moglie abbia manifestato l’intenzione di voler riprendere con l’uomo contatti liberi.
Dalla ricostruzione dei fatti, emerge che l’uomo agiva come un despota tra le mura domestiche, ignorando completamente i diritti e le esigenze della consorte e delle figlie. Inevitabile l’applicazione della misura dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento. Dinanzi alla Cassazione, l’avvocato della difesa prova a ridimensionare i comportamenti tenuti dall’uomo considerando, innanzitutto, «il lasso di tempo intercorso tra i fatti risalenti al mese di luglio, l’acquisizione degli elementi probatori e la richiesta di misura cautelare, eseguita alla fine del successivo mese di ottobre, nonostante le parti si fossero frequentate» per alcuni giorni, verso la fine di ottobre, «senza che vi fosse alcuna manifestazione di pericolosità» dell’uomo, il quale, aggiunge il legale, si è sottoposto a percorsi terapeutici ad hoc.
Inoltre, la moglie ha chiesto espressamente di voler vedere il marito, «di volerlo libero per ricominciare una vita insieme e di non avere alcun timore, e, anche in sede di incidente probatorio, ha dichiarato di volere il ricongiungimento familiare».
La Cassazione rigetta il ricorso e ritiene corretta «la prognosi di recidiva sulle condotte tenute» dall’uomo e sfociate nel suo arresto come «indagato per le lesioni cagionate a terze persone – colpevole di essere intervenute in soccorso della figlia, aggredita e minacciata con una mazza da baseball per essere uscita insieme al fidanzato e a un amico all’insaputa dell’uomo –, in quanto ritenute dimostrative della sua indole violenta e dell’abituale ricorso, da parte sua, alla minaccia e alla prevaricazione per imporre la propria volontà sulle persone di famiglia, da anni vittime di maltrattamenti e aggressioni fisiche e psicologiche». E correttamente, aggiungono i giudici, «tali condotte sono state valorizzate in quanto si inserivano in un percorso di vita» dell’uomo «improntato alla violenza, all’imposizione e all’intolleranza e risultavano espressive di una inclinazione non occasionale alla violenza».
Per la Cassazione è irrilevante anche «il tentativo della moglie dell’indagato di ridimensionare le accuse, minimizzando gli episodi violenti e i comportamenti tenuti dall’uomo anche nei confronti delle figlie», anche perché «si è ritenuto, anche in base alle dichiarazioni rese dalla figlia più piccola, che la madre non percepisse o tendesse a sottovalutare le condotte violente del marito».
Pertanto, «anche a tutela delle due figlie, non è accoglibile la richiesta della moglie di riprendere liberi contatti col marito», e «la disponibilità della moglie a riprendere i rapporti e la convivenza con il consorte, risultante dalla lettera da lei vergata, non intacca la prevalenza accordata alla tutela delle figlie, e della minore in particolare, che subiva in modo più drammatico gli effetti delle reiterate condotte violente del padre» (Cass. pen., sez. VI, n. 14052, dep. 5 aprile 2024).