Illegittima la ricarica telefonica effettuata grazie a un codice provento di un furto: conseguenziale la condanna per indebito utilizzo di uno strumento di pagamento
Respinta la tesi difensiva, mirata a ridimensionare l’episodio e a catalogarlo come mera ricettazione

Costa cara l’illegittima ricarica gratuita dello smartphone, effettuata con un codice numerico recuperato grazie a un furto in una tabaccheria. Il proprietario del telefono cellulare si ritrova difatti condannato per il reato di indebito utilizzo di uno strumento di pagamento. All’origine della vicenda c’è un furto – perpetrato da ignoti – in una tabaccheria. Il bottino include anche alcune schede da utilizzare come ricariche telefoniche: una di quelle schede viene utilizzata illegittimamente e l’uomo che ha così rimpinguato il proprio credito telefonico con la cifra di 10 euro finisce sotto processo. Per i giudici va esclusa la ricettazione, dal momento che tale reato ricorre quando il soggetto acquista, riceve od occulta denaro o cose, provenienti da un qualsiasi delitto, mentre il digitare un numero di codice può semmai riportarsi al concetto di acquisto di un’utilità, che è sicuramente diverso da quello di cosa. Legittimo, di conseguenza, parlare di indebito utilizzo di uno strumento di pagamento, poiché la norma punisce chiunque, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o a una prestazione di servizio. (Sentenza 21771 del 6 giugno 2022 della Corte di Cassazione)