Manda messaggi e foto sgradevoli alla moglie: condannato per stalking
Inequivocabili le ripercussioni subite dalla dona: forti attacchi di panico e la necessità di farsi accompagnare al lavoro
A inchiodare l’uomo è la paura manifestata dalla consorte per sé e per i propri familiari, che l’ha spinta a modificare le proprie abitudini di vita. Decisiva la ricostruzione in dettaglio della vicenda e rilevante, in questa ottica, il valore probatorio riconosciuto alle dichiarazioni della donna. Non contestabile, precisano i giudici, è l’attendibilità del racconto fatto dalla donna. Significativo, a questo proposito, il riferimento contenuto nei messaggi ed alcune peculiari circostanze, come la posizione lavorativa dell’uomo e l’accudimento di alcuni gatti ospitati nella casa della donna, che denotano una specifica conoscenza della vita familiare e testimoniano che ad inviare i messaggi sia stato l’uomo. Per chiudere il cerchio, infine, i giudici sottolineano che a certificare il reato di atti persecutori compiuto dall’uomo è non solo la riattivazione degli attacchi di panico di cui la donna ha sofferto in passato, ma anche il fondato timore da lei manifestato per l’incolumità propria e dei familiari, timore alimentato in lei dalle minacce di morte rivolte pure ai suoi genitori, i quali, tra l’altro, avevano subito il danneggiamento della loro autovettura e dello zerbino posto all’ingresso della loro abitazione, trovato bruciato. Tutti questi comportamenti, concludono i giudici, si sono riverberati sulle abitudini di vita della donna. (Sentenza 18455 del 10 maggio 2022 della Corte di Cassazione)