Pena patteggiata per l’accusa di stalking: consequenziale l’obbligo di risarcire la vittima

Per i giudici la sentenza di patteggiamento è un indiscutibile elemento di prova nei confronti della persona finita sotto processo per stalking

Pena patteggiata per l’accusa di stalking: consequenziale l’obbligo di risarcire la vittima

L’accusa di stalking, il conseguente processo e, infine, la sentenza di patteggiamento – con pena fissata in dodici mesi di reclusione – sono sufficienti per ritenere lo stalker responsabile anche in ambito civile e per obbligarlo a risarcire il danno morale arrecato alla vittima. I giudici, analizzando la vicenda, annotano che la sentenza di patteggiamento è un indiscutibile elemento di prova nei confronti della persona finita sotto processo per stalking, rappresentando, in sostanza, una richiesta di una sanzione penale. In sostanza, la sentenza di patteggiamento va considerata alla stregua di una prova per presunzioni che, unitamente ai messaggi oggetto del processo ricevuti dalla vittima, sono sufficienti per ritenere presuntivamente raggiunta la prova in ordine agli atti persecutori messi in atto dalla persona sotto processo. Di conseguenza, va riconosciuta l’esistenza di un danno morale da reato, quantificato in 3.000 euro e identificato con il pretium doloris, ovvero con le conseguenze temporanee subite dalla vittima dello stalking, e da personalizzare, tenendo conto delle effettive sofferenze patite in relazione alla gravità dell’illecito penale, dei rapporti familiari ed interpersonali tra autore e vittima del reato, dell’entità delle sofferenze psichiche e morali e del patema d’animo subito dalla vittima in rapporto alla loro dimensione temporale e considerando la valutazione della personalità della vittima. (Ordinanza 18668 del 9 giugno 2022 della Corte di Cassazione)

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