Ripetuti sputi sull’auto: è fondata l’ipotesi delittuosa di imbrattamento
L'agevole e poco dispendioso ripristino delle condizioni normali del bene imbrattato non può giustificare l'assoluzione dell’imputato

Un uomo accusato di imbrattamento di cose altrui, per aver ripetutamente sputato sulla carrozzeria di un’auto, veniva assolto dal reato con la formula “perché il fatto non sussiste” in quanto la condotta veniva ritenuta inidonea a ledere il bene protetto dalla norma penale.
Il Procuratore Generale ha impugnato la pronuncia in Cassazione chiedendone il ribaltamento.
Hanno errato i giudici di merito a ritenere che «la pluralità di sputi sull'autovettura della persona offesa, all'altezza della maniglia, al fine di arrecare disturbo e disgusto alla proprietaria» non configurava alcun pregiudizio al diritto di proprietà della vettura, «posto che con una semplice e subitanea azione di pulitura (un semplice schizzo d'acqua) l'offesa viene ad essere immediatamente e definitivamente cancellata».
Il fatto che non fosse necessaria «un’azione di ripristino di particolare dispendiosità» non è infatti un elemento indispensabile né per il reato di danneggiamento, né per quello di deturpamento o imbrattamento.
Ricorda infatti la Corte che «il reato di deturpamento o imbrattamento di cosa altrui, previsto dall'art. 639 cod. pen., infatti, si distingue da quello di danneggiamento di cui all'art. 635 cod. pen. sotto il profilo del deterioramento, perché produce solo un'alterazione temporanea e superficiale della "res", il cui aspetto originario, quale che sia la spesa da affrontare, è comunque facilmente reintegrabile, mentre il reato di danneggiamento produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l'uso, così dando luogo alla necessità di un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalità della cosa stessa».
In conclusione, la Corte annulla la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al GIP per le indagini di sua competenza (Cass. pen., sez. II, dep. 12 aprile 2024, n. 15146).