Uccide la compagna che voleva lasciarlo: la gelosia non rende meno grave l’atto compiuto dall’uomo
Impensabile valutare l’insana gelosia dell’uomo, intesa come stato emotivo e passionale, in senso a lui favorevole

A colpi di mattarello uccide la compagna che voleva lasciarlo. La gelosia non può rendere meno grave la condotta tenuta dall’uomo. Confermata, perciò, la condanna all’ergastolo. Respinta la tesi difensiva mirata a ridimensionare i fatti alla luce sia della incapacità dell’uomo di affrontare la rottura della relazione con la donna sia della sua tendenza a vedere quella rottura come l’ennesimo fallimento nella propria vita. Secondo il difensore dell’uomo non si può ignorare che l’omicidio è stato conseguenza di uno scatto di gelosia, frutto di un equilibrio psicologico destabilizzato e della perdita di ogni razionalità. Il richiamo difensivo allo stato emotivo fragile e complesso dell’uomo non basta, però, ribattono i giudici, per mettere in discussione l’ergastolo. Innanzitutto perché sono palesi la gravità del fatto, l’intensità del dolo e il comportamento tenuto dall’uomo. E in questa ottica, in particolare, è impensabile, chiariscono i magistrati, valutare la gelosia dell’uomo, intesa come stato emotivo e passionale, in senso a lui favorevole. Al contrario, la gelosia integra l’aggravante dei motivi futili, a maggior ragione, poi, a fronte di un omicidio violento. (Sentenza 22211 dell’8 giugno 2022 della Corte di Cassazione)