Valido e non contestabile il fallimento della società in nome collettivo che ha operato come impresa artigiana
Non vi è più alcun rapporto tra la condizione di piccolo imprenditore e la condizione di fallibilità e nessuna rilevanza può avere la eventuale natura artigiana dell’impresa

Legittima la declaratoria di fallimento della società in nome collettivo che era un’impresa artigiana. Irrilevante, chiariscono i giudici, anche il fatto, posto in evidenza da un socio, che tutti i soci avevano prestato il proprio lavoro manuale in misura prevalente. I giudici ricordano che ai fini della dichiarazione di fallimento vi è la necessità del superamento di alcuni parametri dimensionali, ma essi aggiungono poi che è ora tratteggiata la figura dell’imprenditore fallibile, facendo riferimento in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all’organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull’altrui lavoro. Di conseguenza, alla luce della riforma della legge fallimentare, non sussiste più alcun rapporto tra la condizione di piccolo imprenditore e la condizione di fallibilità, e, a maggior ragione, nessuna rilevanza può avere la eventuale natura artigiana dell’impresa, elemento, questo, ininfluente anche nel regime ante riforma. (Ordinanza 11495 dell’8 aprile 2022 della Corte di Cassazione)