Abbraccia e palpeggia una dipendente: legittimo parlare di violenza sessuale

Condanna definitiva per il direttore di un supermercato. Analizzando la vicenda, il mancato consenso della persona offesa è desumibile, sia pure a posteriori, secondo i giudici, dal messaggio da lei inviato al datore di lavoro dopo l’accaduto, messaggio in cui esprimeva all’uomo il fastidio provato e lo invitava ad evitare altri comportamenti del genere per non trovarsi a disagio sul lavoro

Abbraccia e palpeggia una dipendente: legittimo parlare di violenza sessuale

Palpeggia le natiche di una dipendente: legittimo parlare di violenza sessuale. Questa la secca posizione assunta dai giudici (sentenza numero 3736 del 29 gennaio 2025 della Cassazione), i quali hanno condannato, in via definitiva, il direttore di un supermercato, inchiodato dal racconto fatto dalla donna e confermato da alcuni testimoni.
Scenario del brutto episodio, che dà il ‘la’ alla vicenda giudiziaria, è un supermercato in Lombardia. Protagonista in negativo è il direttore della struttura commerciale, accusato da una lavoratrice di averle palpeggiato il sedere e di averla anche molestata con frasi sessiste.
Per i giudici di merito il quadro probatorio, poggiato sui racconti della persona offesa, corroborati poi dalle dichiarazioni di alcuni testimoni, è sufficiente per inchiodare l’uomo alle proprie responsabilità. Consequenziale, quindi, la pronuncia di condanna, sia in primo che in secondo grado, per i reati di violenza sessuale e di molestie, con pena fissata in venti mesi di reclusione.
In sostanza, secondo i giudici di merito, l’uomo, in qualità di direttore del supermercato, ha, in concreto, palpeggiato, con atto repentino, le natiche di una dipendente, e in altre occasioni ha molestato la medesima dipendente, esternandole apprezzamenti a sfondo sessuale e apostrofandola con termini offensivi a sfondo sessuale.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche i magistrati di Cassazione. Decisivo e sufficiente il richiamo a quanto raccontato dalla persona offesa, ritenuta credibile ed attendibile, e confermato dalle dichiarazioni rese da alcuni testimoni.
Detto ciò, e accertato il palpeggiamento subito dalla lavoratrice, è logico, chiariscono i giudici di terzo grado, parlare di violenza sessuale.
Secondo la difesa, l’azione dell’uomo non era stata preceduta da un dissenso esplicito da parte della donna. In sostanza, non vi è stata alcuna prova del dissenso da parte della donna che, abbracciata dall’uomo quando si trovavano nel parcheggio del supermercato, non ha reagito immediatamente, neppure quando l’uomo, subito dopo l’abbraccio, le ha palpeggiato repentinamente ii sedere.
Questa visione è palesemente erronea, ribattono i magistrati di Cassazione, i quali ricordano che, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, rileva la mancanza di consenso al compimento degli atti sessuali. E tale mancanza di consenso non deve necessariamente tradursi nella manifestazione di un esplicito dissenso. Difatti, il rifiuto espresso degli atti sessuali potrebbe non essere possibile, qualora la vittima si trovi in condizioni fisiche o psichiche che non le consentono di dissentire o nelle ipotesi in cui la fulmineità della condotta renda oggettivamente impossibile esprimere un dissenso.
Questo modo di ragionare è poggiato anche sul principio secondo cui, in tema di violenza sessuale, l’elemento oggettivo, oltre a consistere nella violenza fisica in senso stretto o nella intimidazione psicologica in grado di provocare la coazione della vittima, si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all’insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso.
Peraltro, analizzando la specifica vicenda, il mancato consenso della persona offesa è desumibile, sia pure a posteriori, aggiungono i giudici, dal messaggio da lei inviato al datore di lavoro dopo l’accaduto, messaggio in cui esprimeva all’uomo il fastidio da lei provato e lo invitava ad evitare altri comportamenti del genere per non trovarsi a disagio sul lavoro.

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