Ammissione di un credito a seguito di definitività dello stato passivo: impossibile metterne in discussione la stabilità
Consequenziale l’efficacia preclusiva di ogni questione che riguardi il credito, comprese le eventuali cause di prelazione che lo assistono

Nel procedimento fallimentare, l'ammissione di un credito, sancita dalla definitività dello stato passivo, una volta che questo sia stato reso esecutivo con il decreto emesso dal giudice delegato, acquisisce all'interno della procedura concorsuale un grado di stabilità assimilabile al giudicato - cosiddetto giudicato endofallimentare -, con efficacia preclusiva di ogni questione che riguardi il credito, comprese le eventuali cause di prelazione che lo assistono. E ciò vale anche per le risultanze dello stato passivo formato nell'ambito dell'amministrazione straordinaria. I giudici aggiungono poi che, in tema di accertamento del passivo, è inammissibile la proposizione di una nuova domanda di insinuazione, pur se preceduta dalla rinuncia alla domanda di ammissione tempestiva, formulata dopo la formazione del giudicato endofallimentare sullo stesso credito, determinatosi in esito all'omessa impugnazione del decreto di rigetto dell'opposizione alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo. Ciò perché il giudicato in parola, in quanto volto ad eliminare l'incertezza delle situazioni giuridiche mediante la stabilità della decisione, è intangibile e non può essere disconosciutoda una parte processuale al fine di ottenere nuovamente e dallo stesso giudice una seconda decisione attraverso una nuova domanda (anche tardiva) di insinuazione. Invece, eventuali contestazioni concernenti l’esistenza, entità e qualità dei crediti ammessi, in una procedura fallimentare come in una procedura di liquidazione coatta amministrativa, sono proponibili soltanto con l'impugnazione dello stato passivo, ma non con il reclamo avverso il piano di riparto, nei cui confronti le contestazioni ammissibili sono limitate all'ordine di distribuzione delle somme. (Sentenza 18591 del 30 giugno 2023 della Corte di Cassazione)