Cinque piante di canapa indiane, nessuna condanna
Riconosciuta la non punibilità

Decisivo il riferimento al numero irrisorio di piante, al quantitativo complessivo di dosi ricavabili, alle modalità strumentali della coltivazione, all’assenza di precedenti penali del titolare della coltivazione, così da potere escludere da cui desumere la destinazione della sostanza allo spaccio o l’inserimento del coltivatore stesso nel mercato degli stupefacenti. I giudici ribadiscono che, inquadrando la vicenda in un’ottica più ampia, non integrano il reato di coltivazione di stupefacenti le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore. Inoltre, devono considerarsi lecite la coltivazione domestica a fine di autoconsumo, nonché la coltivazione industriale che, a patto che il completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente. (Sentenza 23520 del 30 maggio 2023 della Cassazione)