Colpo in sagrestia: legittimo parlare di furto in privata dimora

Irrilevante, precisano i giudici, il fatto che vittima del latrocinio non sia stato il parroco bensì una persona lì presente solo per svolgere attività di volontariato

Colpo in sagrestia: legittimo parlare di furto in privata dimora

Colpo in sagrestia: è furto in privata dimora anche se la parte lesa non è il parroco. Questa la prospettiva adottata dai giudici (sentenza numero 16366 del 30 aprile 2025 della Cassazione) e che ha portato alla definitiva condanna di una ladra, riuscita a sottrarre una carta bancomat dalla borsa di una donna nel contesto della sagrestia di una chiesa. Respinta la tesi difensiva, mirata ad ottenere il reato di furto semplice e centrata sulla vittima.
Irrilevante, chiariscono i giudici, il fatto che vittima del latrocinio non sia stato il parroco bensì una persona lì presente solo per svolgere attività di volontariato.
Scenario della vicenda è la provincia di Cremona. Lì, difatti, una ladra riesce a mettere a segno un buon colpo, sottraendo, nel contesto della sagrestia di una chiesa, dalla borsa di una donna una carta bancomat, poi prontamente utilizzata per prelevare complessivamente quasi 1.400 euro e per effettuare acquisti – per un valore pari a quasi 150 euro – in un centro commerciale.
Una volta individuata l’autrice del furto, è inevitabile lo strascico giudiziario, che la vede condannata in Appello per furto in abitazione, con pena fissata in quattro anni, sei mesi e dieci

giorni di reclusione, più una multa di 1.334 euro.
Secondo il legale che difende la donna sotto processo, però, è illogico parlare di furto in abitazione. Ciò perché, viene spiegato col ricorso in Cassazione, la nozione di privata dimora può essere riferita unicamente al parroco, e non già alla vittima del furto, la quale si era recata all’interno della sagrestia solo come ospite per svolgervi attività di volontariato e quindi non aveva, pertanto, né la disponibilità della sagrestia né un rapporto di stabilità con la sagrestia, peraltro essendole precluso, a differenza del parroco, l’esercizio di un qualsiasi jus excludendi.
Per i magistrati di Cassazione, però, la visione proposta dalla difesa è assolutamente priva di fondamento. Di conseguenza, viene resa definitiva la condanna della ladra, così come pronunciata in Appello.
Per meglio inquadrare la questione, però, i giudici partono da un dato certo: la sagrestia, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto, servente non solo l’edificio sacro ma altresì la casa canonica, deve ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora, essendone l’ingresso di terze persone selezionato ad iniziativa di chi ne abbia la disponibilità. Ampliando l’orizzonte, poi, viene aggiunto che rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.
Tornando alla vicenda in esame, la disponibilità della sagrestia e del relativo jus excludendi dei terzi spettava, in via esclusiva, alla persona del parroco, ma questo dettaglio, spiegano i giudici di Cassazione, non può comportare il conseguente esonero della responsabilità penale della donna sotto processo solo perché la sottrazione del bene è stata effettuata ina danno di una terza persona, e non già del parroco.
Su questo fronte i magistrati fanno chiarezza: la nozione di privata dimora, di rilievo in riferimento al reato di furto in abitazione, ha una natura esclusivamente obiettiva, riferendosi unicamente al luogo fisico e non già alla persona del derubato. Non è richiesto, cioè, quale necessario presupposto, che la persona offesa coincida con lo stesso soggetto cui appartenga la disponibilità del luogo, con annesso potere di escluderne l’eventuale accesso a terzi.
In sostanza, una volta che, come nella vicenda in esame, venga concesso alla terza persona di accedere al luogo di privata dimora, l’eventuale illecita sottrazione di un bene di proprietà del terzo non fa venir meno la qualificazione del reato come furto in abitazione, in quanto perpetrato in un luogo che, per l’appunto, si connota certamente quale luogo di privata dimora.

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