Conto corrente e anticipazione su ricevute bancarie

Il diritto della banca a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito

Conto corrente e anticipazione su ricevute bancarie

In materia di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, se le relative operazioni sono compiute in epoca antecedente rispetto all'ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, è necessario accertare, qualora il correntista - successivamente ammesso al concordato preventivo - agisca per la restituzione dell'importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa all'anticipazione su ricevute regolata in conto contenga una clausola attributiva del diritto di incamerare le somme riscosse in favore della banca (cosiddetto patto di compensazione o, secondo altra definizione, patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto). Solo in tale ipotesi, difatti, la banca ha diritto a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poiché in siffatta ipotesi non può ritenersi operante il principio della cristallizzazione dei crediti, con la conseguenza che né l'imprenditore durante l'amministrazione controllata, né gli organi concorsuali - ove alla prima procedura ne sia conseguita altra - hanno diritto a che la banca riversi in loro favore le somme riscosse, anziché porle in compensazione con il proprio credito. La ratio della deroga al principio della cristallizzazione del credito va rinvenuta in due ordini di ragioni: in primo luogo, l'ammissione ad una procedura concorsuale minore, come il concordato preventivo non determina lo scioglimento del rapporto di conto corrente bancario e di quelli di volta in volta in esso confluenti, che proseguono nella loro interezza, con estensione quindi a tutte le clausole pattizie che li regolano, ivi compresa quella con le quali le parti abbiano attribuito alla banca il diritto di incamerare le somme riscosse; in secondo luogo, in ragione del collegamento negoziale e funzionale esistente tra il contratto di anticipazione ed il mandato all’incasso con patto di compensazione - discendente dal rilievo che, attenendo il patto alla regolamentazione delle modalità di satisfazione del credito della banca, in sua carenza, l'operazione non sarebbe stata mai posta in essere, così rivelando la causa concreta di tutta l’operazione - può fondatamente ritenersi che i rispettivi debiti e crediti delle parti traggano origine da un unico, ancorché complesso, rapporto negoziale, con la conseguenza che è configurabile la fattispecie della cosiddetta compensazione impropria, e non quindi la compensazione in senso stretto, disciplinata nella procedura fallimentare, che presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti. In particolare, in caso di compensazione impropria, la valutazione delle reciproche pretese delle parti comporta soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, ed a ciò il giudice può procedere senza incontrare ostacolo nelle limitazioni vigenti per la compensazione in senso tecnico giuridico. Dunque, ove i rispettivi debiti e crediti delle parti derivino ad un unico rapporto negoziale - ed è proprio il caso della linea di credito cosiddetto autoliquidante, in cui la fonte di rimborso dell’erogazione finanziaria della banca è predeterminata, ed è stata pattuita sin dall’inizio dalle parti la canalizzazione del pagamento del terzo a favore dell’istituto di credito - non trova applicazione quella norma che attribuisce rilevanza al momento in cui i reciproci debiti e crediti delle parti vengono a coesistenza. L’elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza è la conseguenza di un mero accertamento contabile di dare e avere di poste attive e passive che, per effetto del patto di compensazione, vengono annotate nel medesimo conto corrente. Evidente, invece, che ove il mandato all’incasso della banca fosse espletato in difetto del patto di compensazione stipulato a monte, verrebbero meno il collegamento negoziale e la conseguente unicità del rapporto negoziale, con conseguente applicabilità delle norme sulla compensazione in senso stretto e, in materia fallimentare, della norma che non consente la compensazione tra i crediti reciproci se non entrambi preesistenti all’apertura della procedura di concordato preventivo. In conclusione, l’esistenza del patto con cui è stato attribuito alla banca il diritto di incamerare le somme riscosse all’esito della esecuzione del mandato all’incasso, e l’operatività dell’istituto della cosiddetta compensazione impropria, consentono alla banca di trattenere legittimamente le somme riscosse dopo l’apertura del concordato preventivo. (Ordinanza 28231 del 9 ottobre 2023 della Cassazione)

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