Correggere il figlio non legittima il ricorso alla violenza
L’intento di correggere il comportamento del figlio non legittima le azioni violente del padre

Condanna definitiva di un uomo per le violenze realizzate ai danni del figlio. Riconosciuto il reato di maltrattamenti in famiglia. Impossibile, secondo i giudici, parlare di abuso dei mezzi di correzione. Inutile la sottolineatura difensiva, mirata, da un lato, a porre in evidenza che l’uomo ha sì tenuto comportamenti violenti nei confronti del figlio ma per correggerne determinati comportamenti e, dall’altro, a richiamare il forte legame affettivo tra il minore e il padre. Per i giudici, invece, va confermata la condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia. In sostanza, le condotte tenute dall’uomo nei confronti del figlio possono essere qualificate come abuso dei mezzi di correzione soltanto nel caso di violenze episodiche, mentre non rilevano gli intenti correttivi del padre e la esistenza di un intenso legame emotivo e affettivo fra lui e il figlio, il cui stato di sofferenza psicologica è stato accertato in concreto. Ampliando l’orizzonte, poi, i magistrati tengono a chiarire che condotte sistematicamente violente - sia sul piano fisico che su quello psicologico -, anche quando finalizzate a educare, come quelle tenute dall’uomo sotto processo, non rientrano nella categoria dell’abuso dei mezzi di correzione ma concretizzano elementi costitutivi del più grave reato di maltrattamenti. Ciò perché esula dal perimetro applicativo della fattispecie dell'abuso dei mezzi di correzione (o di disciplina) qualunque forma di violenza - fisica o psichica -, anche se sostenuta da animus corrigendi. (Sentenza 24876 dell’8 giugno 2023 della Cassazione)