Corteggia a lungo una ragazza già fidanzata: condannato per stalking
Il reato di stalking si integra anche con molestie reiterate ed invasione della sfera privata della persona offesa, mediante invio ad essa, per anni e con elevata frequenza, di innumerevoli messaggi, tanto più se contenenti un profluvio di apprezzamenti, anche grevi e di natura sessuale, non graditi dalla destinataria

Catalogabile come stalking il corteggiamento prolungato nei confronti di una persona già fidanzata. Questo il principio fissato dai giudici (sentenza numero 3875 del 30 gennaio 2025) per legittimare la condanna definitiva di un uomo che per ben trentasei mesi ha tempestato di messaggi d’amore, con annessi apprezzamenti fisici, una donna, peraltro legata ad un altro uomo, che aveva chiaramente espresso di non gradire quella condotta.
Inequivocabili, secondo i magistrati, le pulsioni ossessive e incontrollate dell’uomo verso la donna. Decisivo il quadro probatorio, solidissimo e centrato sulle dichiarazioni della persona offesa, dichiarazioni che ne certificano lo stato d’ansia, causato dalla condotta dell’uomo, e che sono state confermate dai genitori, dal fratello e dal fidanzato.
Per quanto concerne il destinatario in concreto dei messaggi inviati dall’uomo, è provato che essi, mandati in realtà al padre della persona offesa, nella convinzione che l’utenza fosse in uso alla donna, erano stati letti da costei, avendo il padre ritenuto cosi di metterla in guardia.
Ampliando l’orizzonte, poi, i magistrati aggiungono una importante considerazione: il reato di stalking si integra anche con molestie reiterate ed invasione della sfera privata della persona offesa, mediante invio ad essa, per anni e con elevata frequenza, di innumerevoli messaggi, tanto più se contenenti un profluvio di apprezzamenti, anche grevi e di natura sessuale, non graditi dalla destinataria. E, ragionando in questa ottica, nella vicenda oggetto del processo, l’uomo ha espresso, in modo compulsivo, il suo desiderio verso la donna e la convinzione che lei lo riamasse, dicendole pure di ben sapere dove ella si recasse, cosa facesse e chi fosse il suo fidanzato, giungendo ad inviarle foto di lei, con commenti sul suo fisico. Inoltre, in un’occasione l’uomo aveva pure tentato un contatto diretto con la donna, presentandosi sul luogo di lavoro di lei, che gli aveva detto di non volere avere a che fare con lui. In un’altra occasione, poi, l’uomo aveva citofonato all’abitazione della donna e, in un’altra occasione ancora, egli era rimasto fermo per diverso tempo davanti alla vetrina del negozio dove lei lavorava, tanto da costringerla a parlarne alla titolare.
Logico ritenere, secondo i giudici, che, nonostante la vittima avesse cercato di impedire la ricezione dei messaggi a lei inviati dall’uomo, ella, ben conoscendone la natura, avesse continuato a nutrire forte preoccupazione per l’ossessione manifestata nei suoi riguardi. Difatti, come riconosciuto anche dalla difesa, la donna aveva sì continuato regolarmente ad uscire ma aveva iniziato a farsi accompagnare da altre persone fino al portone di casa e talora aveva chiesto di rientrare mentre era collegata telefonicamente con altri. Tutto ciò a riprova del mutamento delle sue abitudini e del timore ed ansia per eventuali incontri a lei non graditi con l’uomo.
Per chiudere il cerchio, infine, i magistrati di Cassazione ribadiscono un principio fondamentale: il delitto di atti persecutori può configurarsi anche nel caso in cui si trasmodi il mero corteggiamento, seppur pressante, di per sé penalmente irrilevante. In particolare, tale delitto va ritenuto integrato in presenza di approcci ed avances anche non minatori, che, però, per la loro reiterazione, frequenza e durata nel tempo, o anche per il loro tenore – specialmente se connotati da espliciti riferimenti sessuali – e per essere indirizzati a persona non legata sentimentalmente a chi li invii, o, infine, per le particolari condizioni della vittima – ad esempio, se minorenne o legata sentimentalmente ad altra persona – siano logicamente ritenuti molesti ed idonei a provocare, in chi li riceva, un perdurante stato di ansia o, addirittura, la modifica delle sue abitudini di vita.
Ebbene, nella vicenda oggetto del processo, l’asfissiante corteggiamento compiuto dall’uomo e consistito nel pressante, reiterato a lungo nel tempo e greve – stanti gli espliciti riferimenti sessuali, indirizzati a chi, legata sentimentalmente ad altra persona, aveva espresso chiaramente di non gradire siffatta condotta – invio di messaggi, tanto più se corredato da ulteriori elementi (citofonate all’abitazione della persona offesa; appostamenti per incontrarla; tentativi di parlarle; deduzione sulla consapevolezza, da parte dell’uomo, dei movimenti della donna e degli incontri da lei fatti) è idoneo, secondo i giudici, «a determinare un perdurante e grave stato di ansia ovvero ad ingenerare un fondato timore che Io smodato desiderio del soggetto metta a rischio l’incolumità della persona offesa o, ancora, costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita per sottrarsi al rischio di incontrare il soggetto.
Corretto anche ritenere segni tangibili degli eventi determinatisi, e dunque del perdurante stato d’ansia e del cambio di abitudini della vittima: la riduzione del numero delle uscite, da parte della persona offesa, per paura di incontrare l’uomo; la sua circospezione nell’effettuare quelle uscite, accertandosi sempre che fuori di casa non vi fosse l’uomo; la sua decisione di non uscire più da sola; la richiesta di essere accompagnata sino all’uscio della propria abitazione. Timori, poi, tanto più reali considerato che in alcuni messaggi l’uomo mostrava di essere perfettamente consapevole degli spostamenti della persona offesa e di quello che ella facesse, così inducendo la donna a credere ragionevolmente che le morbose attenzioni dell’uomo fossero accompagnate da forme di controllo dei suoi spostamenti e della sua vita.