Dichiarazione di fallimento possibile anche in caso di rateizzazione del debito tributario

Fondamentale che la porzione di debito non rateizzata superi comunque la soglia prevista dalla legge fallimentare

Dichiarazione di fallimento possibile anche in caso di rateizzazione del debito tributario

La rateizzazione di parte del debito tributario non esclude la dichiarazione di fallimento quando la porzione di debito non rateizzata supera comunque la soglia – 30mila euro – prevista dalla legge fallimentare e concorre a determinare lo stato di insolvenza del debitore. In questa ottica, l’eventuale beneficio della definizione agevolata dei ruoli, pur comportando temporanea inesigibilità del credito erariale, non esclude la legittimazione dell’Agenzia delle Entrate a richiedere il fallimento né comporta l’improcedibilità del relativo giudizio prefallimentare.
Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 10610 del 23 aprile 2025 della Cassazione), i quali hanno confermato il fallimento di una ‘s.r.l.’ gravata da debiti, risultanti all’Agenzia delle Entrate -Riscossione, pari a quasi 1.400.000 euro.
Irrilevante la rateizzazione del debito tributario richiesta dalla società, poiché, come già annotato dai giudici d’Appello, non ha riguardato crediti tributari per una cifra pari a quasi 180mila euro.
Irrilevante, poi, anche l’annullamento, da parte del giudice tributario, di cartelle per un valore pari a quasi 380mila euro, poiché l’annullamento è avvenuto per vizi di notifica e non per motivi di merito, senza pertanto sgravio alcuno.
Su questa lunghezza d’onda, infine, anche i magistrati di Cassazione, i quali osservano che la rateizzazione può avere incidenza in quanto tale nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, ma, nella specifica vicenda, una parte del debito tributario non è stata oggetto di rateizzazione e tale importo incide sia ai fini dello stato di insolvenza, sia ai fini della soglia fissata dalla legge fallimentare.
In questo quadro, poi, l’impugnazione dell’ulteriore credito tributario, pari a quasi 380mila euro, non tiene conto – ai fini dello stato di insolvenza – del fatto che il credito in oggetto rappresenta solo una parte del complessivo debito tributario. In ogni caso, la temporanea inesigibilità del credito erariale, conseguente alla presentazione della domanda di ammissione alla definizione agevolata dei ruoli, pur incidendo sulla possibilità di avviare o proseguire eventuali azioni esecutive, non esclude la legittimazione dell’Agenzia delle Entrate a richiedere il fallimento, né comporta l’improcedibilità del relativo giudizio prefallimentare. Invece, l’eventuale esito positivo della domanda, che è onere del debitore provare essere intervenuto prima della dichiarazione di fallimento, può, invece, costituire oggetto di valutazione ai fini dell’accertamento dello stato d’insolvenza.
Tirando le somme, la società, a fronte dell’incontestata sussistenza dei crediti erariali, non si sarebbe dovuta limitare a rappresentare l’accesso al beneficio della definizione agevolata e a sostenere perciò un ridimensionamento della sua situazione debitoria in maniera tale da escludere l’insolvenza, ma avrebbe avuto l’onere di dare concreta dimostrazione delle proprie allegazioni.

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