Genitori divorziati: il mantenimento del figlio maggiorenne non può essere ‘sostituito’ dalla decisione di accoglierlo in casa

L’ospitalità data al giovane, ancora non autosufficiente dal punto di vista economico, può però pesare sulla quantificazione dell’assegno

Genitori divorziati: il mantenimento del figlio maggiorenne non può essere ‘sostituito’ dalla decisione di accoglierlo in casa

In tema di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, l’adempimento del relativo obbligo non può essere soddisfatto tramite la decisione di accogliere e mantenere il figlio in casa. Questo dettaglio può, invece, essere un elemento da valutare ai fini della quantificazione dell’assegno, e in questa ottica, cioè ai fini della determinazione del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, deve tenersi conto delle condizioni di vita del figlio durante la convivenza dei genitori e deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata delle consistenze di entrambi i genitori. Questi i principi fissati dai giudici (ordinanza numero 3329 del 10 febbraio 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso originato dalla domanda con cui un giovane, figlio di genitori divorziati, ha chiesto alla madre un assegno di mantenimento, pur percependone un altro dal padre. Per inquadrare meglio la questione, i giudici osservano che l’assegno di mantenimento del figlio, che deriva direttamente dal rapporto di filiazione, deve far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, essendo estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento corrispondente al tenore di vita economico e sociale goduto dalla famiglia quando era unita. Il diritto del figlio al mantenimento, al pari degli altri diritti che compongono lo status di figlio, ha un fondamento solidaristico ed è finalizzato a soddisfare interessi anche di carattere non patrimoniale, pur determinando il sorgere di prestazioni dal contenuto economico. Il contenuto del mantenimento, allora, deve essere definito in ragione della sua funzione, che non si esaurisce nell’apporto economico necessario per il soddisfacimento dei bisogni necessari a vivere, ma include ogni apporto finalizzato ad una crescita e formazione adatta alla sua personalità e alle sue inclinazioni. L’elasticità e la flessibilità che caratterizzano il rapporto intersoggettivo tra genitori e figlio determinano una variazione nel tempo del contenuto del dovere di mantenimento, correlata alle mutevoli esigenze e all’età del figlio, la cui crescita comporta, di regola, un incremento delle necessità di spesa per i suoi bisogni e una progressiva riduzione degli impegni legati all’accudimento materiale dello stesso, fino a quando, con la maggiore età, il compito dei genitori diventa essenzialmente un supporto al percorso del figlio verso l’indipendenza anche economica. D’altronde, una volta raggiunta tale indipendenza, cessa l’obbligo di mantenimento ed esso non è nuovamente esigibile se il figlio perde le sue fonti di reddito, poiché i genitori hanno adempiuto al loro dovere di condurlo verso l’autosufficienza, fermo restando che il figlio, se si trova in stato di bisogno, può sempre chiedere che vengano corrisposti gli alimenti. Per quanto riguarda il contributo al mantenimento dei figli, sia esso destinato ai figli minori di età o ai figli maggiorenni (ma non ancora autosufficienti economicamente), la disposizione normativa prevede che, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, e il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. In tale quadro, poi, si inserisce la disciplina specifica del mantenimento dei figli maggiorenni, e su questo fronte non è previsto che il genitore obbligato al mantenimento possa scegliere unilateralmente di adempiere all’obbligo mediante accoglimento in casa del figlio da parte di uno dei genitori. Il legislatore, per il mantenimento di figli, investe il giudice della verifica della sussistenza o meno dei presupposti per l’attribuzione di un assegno e, in presenza dei previsti presupposti, stabilisce che lo stesso giudice preveda l’erogazione di un assegno periodico, ove l’accoglimento o meno del figlio in casa, con contribuzione diretta al suo mantenimento, non è una modalità alternativa di adempimento dell’obbligo di mantenimento, costituendo, semmai, un elemento da valutare ai fini della quantificazione dell’assegno. Per quanto concerne la misura del contributo al mantenimento dei figli, vi sono da tenere presenti due dimensioni. Da una parte vi è il rapporto tra genitori e figlio e dall’altra vi è il rapporto tra genitori obbligati. Il principio di uguaglianza che accumuna i figli di genitori coniugati ai figli di genitori separati o divorziati, come pure a quelli nati da persone non unite in matrimonio (che continuano a vivere insieme o che hanno cessato la convivenza), impone di tenere a mente che tutti i figli hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni. Per questo, il Codice Civile, nel disciplinare la misura del contributo al mantenimento del figlio, pone subito, come parametri da tenere in considerazione, le attuali esigenze dei figli e il tenore di vita goduto da questi ultimi durante la convivenza con entrambi i genitori. Ma i diritti dei figli di genitori che non vivono insieme non possono essere diversi da quelli dei figli di genitori che stanno ancora insieme, né i genitori possono imporre delle privazioni ai figli per il solo fatto che abbiano deciso di non vivere insieme. Nei rapporti interni tra genitori vige, poi, il principio di proporzionalità rispetto al reddito di ciascuno. Per i genitori sposati, il dovere di contribuire al mantenimento del figlio è regolato dal paletto normativo che sancisce il dovere di entrambi i coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alle capacità di lavoro professionale e casalingo. In generale, poi, Codice Civile alla mano, i genitori (anche quelli non sposati) devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Lo stesso criterio di proporzionalità deve essere seguito dal giudice, quando, finita la comunione di vita tra i genitori (siano essi sposati oppure no), è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno di essi, dovendo considerare le risorse economiche di ciascuno, valutando anche i tempi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno, quali modalità di adempimento in via diretta dell’obbligo di mantenimento che, pertanto, incidono sulla necessità e sull’entità del contributo al mantenimento in termini monetari. Evidente, secondo i giudici, che gli elementi appena elencati costituiscono aspetti in cui il principio di proporzionalità si declina, ove le esigenze del figlio e il tenore tenuto durante la convivenza dei genitori indirizzano il contributo che ciascuno dei genitori è chiamato a dare, oltre che la misura dell’assegno periodico da porre eventualmente a carico di uno di essi. Di conseguenza, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non convivente per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che, nei rapporti interni tra i genitori, richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi.

News più recenti

Mostra di più...