Il compenso remunera l’incarico conferito dal curatore, e non già quello conferito dal fallito, quando era in bonis

In materia di fallimento, qualora il giudice della causa in cui si sia costituita la procedura liquidi a titolo di spese legali un importo maggiore rispetto a quello liquidato dal giudice delegato su istanza del difensore e la pronuncia diventi cosa giudicata, il passaggio in giudicato determina la definitività del solo parametro di determinazione del valore della causa trattata e non già della quantificazione delle somme operata

Il compenso remunera l’incarico conferito dal curatore, e non già quello conferito dal fallito, quando era in bonis

Il difensore, in sede di reclamo contro il decreto di liquidazione, ha diritto però di pretendere la differenza a titolo d’ingiustificato arricchimento della massa, che gli è riconosciuta con pronuncia i cui effetti sono sospensivamente condizionati all’effettivo incameramento della somma corrispondente da parte del curatore, se non già avvenuto. La norma stabilisce poi che il giudice delegato liquida, su proposta del curatore, i compensi ai difensori nominati dal medesimo curatore.  Il compenso remunera quindi l’incarico conferito dal curatore, non già quello conferito dal fallito, quando era in bonis. Difatti, per effetto della dichiarazione di fallimento del cliente, il mandato difensivo si scioglie immediatamente, perfino nel caso in cui esso sia relativo a un procedimento pendente in Cassazione. A dirlo, chiaramente, è la legge fallimentare, secondo cui il fallito perde per effetto della dichiarazione di fallimento la legittimazione processuale in tutte le controversie non aventi natura personale. (Ordinanza 27586 del 29 settembre 2023 della Cassazione)

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