Insider training, basta la mera conoscenza dell'informazione privilegiata
Al fine della sussistenza dell’insider training è sufficiente che l’informazione sia stata anche solo intercettata da colui che poi ne abbia tratto profitto mediante un utilizzo improprio. È sufficiente, infatti, la mera conoscenza dell’informazione privilegiata.

La vicenda trae origine da un investitore che viene sanzionato dalla Consob perché aveva acquistato 21.000 azioni “DelClima”. L’investitore aveva deciso di effettuare tale acquisto perché durante un viaggio in barca a Mykonos aveva appreso che Mitsubishi avrebbe acquistato, a breve, una partecipazione di controllo in “DelClima”, società appartenente proprio al gruppo facente capo al proprietario della barca sulla quale aveva soggiornato in estate. Durante la vicenda giudiziaria, l’investitore aveva sostenuto che l’acquisto delle azioni di “DelClima” era avvenuto su consiglio di un investment manager di Deursche Bank, suo ospite in Grecia, che aveva sostenuto la forte crescita del titolo da inizio anno. A parere della Corte di Cassazione, però, la situazione nella quale l’investitore era venuto a conoscenza dei titoli successivamente comprati, assieme ai soggetti coinvolti, ai contatti telefonici intercorsi a ridosso dell’acquisto, costituivano fatti che provavano il possesso e l’utilizzo dell’informazione privilegiata da parte dell’investitore. La Cassazione, infatti, chiarisce che l'illecito collegato all’insider trading deriva dalla dimostrazione dell’acquisto dei titoli da parte di colui che è a conoscenza dell’informazione privilegiata. Al fine dell’accertamento della sussistenza dell’illecito, non occorre che vi sia la prova di un collegamento causale tra l’informazione posseduta e la trasmissione della stessa da parte dell’informatore, ma è sufficiente provare il nesso tra il possesso dell’informazione e l’utilizzo che ne viene fatto. Inoltre, ai sensi dell’art. 187-bis T.U.F. “informazione” deve essere intesa quale “conoscenza”, non occorrendo, ai fini della configurabilità dell’illecito, anche la prova che tale conoscenza sia stata trasmessa da altri all’agente. A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, concludono i Giudici, l’aumento del prezzo di mercato delle azioni serviva come fattore dissuasivo o comunque tale da sconsigliare un investimento alle descritte condizioni di acquisto, per un importo corrispondente a quello effettuato in passato in titoli evidentemente ritenuti più solidi. (Cass. civ. sent., 11 gennaio 2024, n. 1147)