Mere violenze verbali ai danni della compagna: si può parlare di maltrattamenti
Va dato rilievo anche alle violenze verbali, in quanto idonee a determinare un perdurante stato di sofferenza e di prostrazione nella persona offesa

A fronte di mere violenze verbali messe in atto da un uomo ai danni della compagna, è legittimo parlare di maltrattamenti. Ciò perché va attribuito rilievo, secondo i giudici, anche alle violenze verbali, in quanto idonee a determinare un perdurante stato di sofferenza e di prostrazione nella persona offesa. Per i giudici è impensabile mettere in dubbio la responsabilità penale dell’uomo. Ciò innanzitutto alla luce della credibilità soggettiva della persona offesa, le cui dichiarazioni, precise e circostanziate, sono ritenute pienamente attendibili anche in forza dei numerosi elementi di riscontro estrinseco rappresentati non solo dalla puntuale disamina dei contenuti dei video e delle chat estrapolati dal cellulare dell’uomo, ma anche dalle dichiarazioni rese da due testimoni in relazione sia agli atti di maltrattamento che alle gravi condotte minatorie poste in essere dall’uomo ai danni della compagna. Rilevante, poi, aggiungono i giudici, la continuità delle condotte di maltrattamento realizzate dall’uomo e connotate dai caratteri di sistematicità e persistenza e di volta in volta concretizzatesi in offese, umiliazioni, minacce, aggressioni verbali e fisiche, talora in presenza anche del figlio minore della coppia, lungo l’intero arco temporale della convivenza, sì come dispiegatasi per il rilevante periodo di oltre un decennio. Per chiudere il cerchio, infine, i giudici ricordano che il reato di maltrattamenti in famiglia non circoscrive l’incidenza penalistica della condotta entro il perimetro di una specifica forma di violenza, trattandosi di un reato a forma libera la cui previsione, come tale, attribuisce rilievo anche alle violenze verbali, in quanto idonee a determinare, come verificatosi nel caso preso in esame, un perdurante stato di sofferenza e di prostrazione nella persona offesa. Tirando le somme, i maltrattamenti in famiglia si concretizzano non solo a fronte di percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche a fronte di atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, come nella vicenda oggetto del processo. (Sentenza 11137 del 15 marzo 2023 della Corte di Cassazione)