Minacce plausibili anche se fatte da una donna con un bimbo in braccio
Condanna definitiva per una donna che ha aggredito, minacciato e tentato di rapinare un’agente di Polizia municipale

I giudici sottolineano, in particolare, la gravità delle frasi minatorie pronunciate dalla donna. Il legale della donna ha provato ridimensionare i fatti addebitati alla sua cliente, sostenendo che le frasi minatorie incriminate non erano idonee a turbare la libertà psichica della vittima, soprattutto tenendo conto delle circostanze concrete, della personalità della donna e, infine, della condizione della vittima, che ha tenuto, secondo il legale, un comportamento inequivocabile, essendosi messa a a gridare e avendo così fatto allontanare la donna. Ampliando l’orizzonte, poi, il legale ha sostenuto che la minaccia di morte pronunciata dalla sua cliente non era credibile, provenendo da una donna con in braccio un bambino ed essendo diretta nei confronti di un’agente di Polizia municipale, e poi, ha aggiunto, le frasi incriminate erano frutto di un momentaneo accesso di rabbia della donna, che si era sentita accusata di sfruttare il figlio per ottenere l’elemosina e non erano finalizzate ad ottenere denaro dall’agente di Polizia municipale. Impossibile, invece, secondo i giudici, ridimensionare le condotte minatorie e violente poste in essere dalla donna sotto accusa per costringere l’agente di Polizia municipale a consegnarle del denaro. In particolare, viene chiarito che le minacce di morte proferite dalla donna sotto processo erano idonee a turbare psicologicamente la persona offesa in quanto quest’ultima abita e lavora nel Comune in cui vive la donna responsabile dell’aggressione. (Sentenza 25269 del 12 giugno 2023 della Cassazione)