Niente mantenimento paterno per il figlio che lavora in un call center

L’occupazione, seppur con contratti a termine e con uno stipendio contenuto, testimonia una capacità lavorativa tale da potersi rendere economicamente indipendente

Niente mantenimento paterno per il figlio che lavora in un call center

Questo impiego testimonia, secondo i giudici, una capacità lavorativa che rende economicamente indipendente il giovane e certifica che egli è ormai inserimento nel mondo del lavoro. Accolta la tesi proposta dal genitore, il quale ha contestato l’ipotesi del mantenimento in favore del figlio, ormai maggiorenne, sostenendo che quest’ultimo era stato sostenuto negli studi e aiutato a raggiungere l’indipendenza economica, certificata dal lavoro in un call center. I giudici valorizzano la posizione del figlio, che, ormai trentenne, lavora da più anni in un call center con contratti rinnovati di periodo in periodo, per uno stipendio di 450 euro mensili, e coabita con la fidanzata in un appartamento in una città diversa dalla madre, dove ritorna solo nel week-end. Ciò consente, sempre secondo i giudici, di ritenere che il giovane si sia ormai inserito nel mondo del lavoro ed abbia una capacità lavorativa che lo rende economicamente indipendente. I giudici chiariscono che il mantenimento da parte dei genitori del figlio maggiorenne, che sia stato sostenuto nel percorso di studi e nella ricerca di un lavoro, non può essere protratto sine die, ma serve a garantire il soddisfacimento dei bisogni primari sino a che il figlio non riesca ad inserirsi nel mondo del lavoro. Poi, una volta che il figlio abbia tutti gli strumenti necessari per svolgere una attività remunerativa ed abbia trovato un primo impiego, magari non del tutto soddisfacente o corrispondente alle proprie aspirazioni, non si può ritenere sussistente il suo diritto all’assegno di mantenimento. Ragionando in questa ottica, poi, i giudici precisano che lo svolgimento di un’attività retribuita, ancorché prestata in esecuzione di un contratto di lavoro a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un’adeguata fonte di reddito, e quindi della raggiunta autosufficienza economica, che esclude la reviviscenza dell’obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro. I giudici aggiungono poi che nel caso preso in esame, sebbene il rapporto di lavoro del figlio sia a tempo determinato, esso viene comunque rinnovato da anni e la ridotta remunerazione è coerente con il basso reddito familiare. (Sentenza del 2 gennaio 2023 del Tribunale di Cosenza)

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