Solo dopo la separazione scopre che la figlia è frutto dell’adulterio della moglie: risarcibile il danno

Violazione dei doveri di fedeltà coniugale e reticenza sulle conseguenze sui figli, con ulteriore violazione dell'obbligo di lealtà: si tratta di complessive condotte che per la loro gravità costituiscono un’aggressione ai diritti fondamentali della persona, che deve essere risarcita

Dopo aver contratto matrimonio nel 1991, la coppia si era separata consensualmente ma, ciononostante, i coniugi si erano successivamente riconciliati riprendendo la convivenza, nel corso della quale era nata la figlia. Persistendo la crisi, i coniugi avevano nuovamente chiesto la separazione consensuale. L'uomo era avrebbe dovuto contribuire al mantenimento della minore, pagamento regolarmente eseguito fino a che, contestualmente alla separazione, la moglie aveva chiesto al giudice tutelare di essere autorizzata a promuovere azione di disconoscimento della paternità, affermando che la figlia era frutto di una relazione extraconiugale. Dall'esame genetico, risultava che effettivamente la bambina non era figlia dell'ex marito che ha quindi chiesto i danni per avere subito un grave, ingiusto ed irreparabile danno biologico, morale ed esistenziale, consistito nella perdita dello status di padre e, in concreto, nella perdita di una “figlia”. Lamentava inoltre il danno irreversibile subito alla sua salute, alla privacy e alla reputazione. 

La domanda risarcitoria veniva però rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello.  

La Cassazione ha invece ritenuto fondata la pretesa alla luce del principio secondo cui «in tema di rapporti coniugali, è configurabile un danno ingiusto risarcibile allorché la condotta violativa dei doveri di fedeltà si accompagni alla reticenza sulle sue conseguenze circa il rapporto di filiazione, coinvolgente ex lege l’altro coniuge, con ulteriore violazione dell'obbligo di lealtà, ossia con complessive condotte che, per la loro intrinseca gravità, si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona, quali la personalità e la dignità umana, per avere quello infedele consapevolmente e artatamente indotto l’affidamento dell’altro coniuge circa la veridicità del rapporto genitoriale, sorto in costanza di matrimonio, reso pubblico e dimostratosi poi fallace, tale da comportare offesa alla personalità, alla dignità e all'onore dell'altro coniuge». 

La Corte accoglie dunque il ricorso dell’uomo e annulla la pronuncia impugnata con rinvio alla Corte d’appello per un nuovo esame della vicenda. (Cass. civ., ordinanza n. 155/2024)

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