Suicida l’ospite della comunità di recupero: la repentinità del gesto esclude la responsabilità della struttura

Impossibile accogliere la tesi della omessa sorveglianza cui l’associazione che gestiva la struttura era tenuta in forza del contratto che la obbligava a erogare il servizio di recupero dalla tossicodipendenza

Suicida l’ospite della comunità di recupero: la repentinità del gesto esclude la responsabilità della struttura

Suicida l’ospite della comunità di recupero: la repentinità del gesto esclude la responsabilità della struttura. Respinta l’istanza risarcitoria avanzata dalla madre del giovane tossicodipendente deceduto dopo essersi buttato nel vuoto dal terrazzo dell’immobile che ospita la comunità di recupero. Decisivo per i giudici un dato: la condotta suicida del giovane è stata imprevedibile e repentina. La domanda risarcitoria avanzata dalla donna era centrata sulla omessa sorveglianza cui l’associazione era tenuta in forza del contratto che la obbligava a erogare il servizio di recupero dalla tossicodipendenza. Ma, osservano i giudici, all’associazione è stato chiesto di dimostrare di non aver potuto impedire il danno e l’associazione ha certificato la correttezza della propria condotta, poiché ha chiarito che gli ospiti della struttura accettano regole di permanenza stringenti, come perquisizioni, limitazioni dell’uso del denaro, del telefono, delle visite, delle uscite con l’accompagnamento di un operatore e ha così individuato le misure di sicurezza e disciplinari approntate e applicate all’interno della struttura. Per completare il quadro, infine, viene rilevato che sia l’assistente sociale che il medico che gli altri ragazzi presenti nella struttura avevano descritto il comportamento del giovane suicidatosi come del tutto privo, al tempo dei fatti, di indizi riferibili a condotte autolesionistiche o che potessero essere fonte di preoccupazione specifica. (Sentenza 15012 del 29 maggio 2023 della Cassazione)

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