Violenze fisiche e verbali ai danni della compagna: la convivenza non basta per parlare di maltrattamenti in famiglia
Per l’applicazione della norma che sanziona il reato di maltrattamenti in famiglia, di convivenza si può parlare solamente laddove risulti acclarata l’esistenza di una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità

Uomo sotto processo per violenze fisiche e verbali ai danni della compagna: la convivenza sotto lo stesso tetto non basta, precisano i giudici, per ipotizzare il reato di maltrattamenti in famiglia. Necessario, difatti, esaminare con attenzione il legame esistente tra l’uomo e la compagna, anche perché una convivenza durata circa tre settimane, come nel caso preso in esame, ma senza previsione di durata non può bastare per ipotizzare l’esistenza di un rapporto caratterizzato da uno stabile progetto di vita comune. I giudici precisano che il reato di maltrattamenti in famiglia può ipotizzarsi, innanzitutto, in una situazione caratterizzata dalla accertata esistenza di una relazione sentimentale in cui si sia instaurato un vincolo di solidarietà personale tra i partner, e in questo quadro si inserisce il riferimento alla figura del convivente, parificata a quella del familiare, come persona offesa del delitto di maltrattamenti in famiglia. In sostanza, ai fini della applicazione della norma che sanziona il reato di maltrattamenti in famiglia, di convivenza si può parlare solamente laddove risulti acclarata l’esistenza di una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità. Lungi dall’essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve essere espressione di una relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita. (Sentenza 38336 dell’11 ottobre 2022 della Corte di Cassazione)