Diffamazione: condannato l’autore di un post su Facebook che ha definito l’hotel “porcile”

Per i Giudici di legittimità non è possibile invocare l’esimente della provocazione e questo perché non è stata indicata «la condotta in cui si sarebbe concretizzato il fatto ingiusto altrui» né «il modo in cui tale iniqua attitudine della condotta altrui possa porsi a base dell’invocata esimente» in questione.

Diffamazione: condannato l’autore di un post su Facebook che ha definito l’hotel “porcile”

Nel contesto dell'emergenza post-terremoto nell'area abruzzese, un cittadino aquilano si trova costretto ad abbandonare la propria abitazione per cercare riparo in un albergo designato dalla Protezione Civile. Esasperato dalla situazione nella quale si trova, il ricorrente decide di condividere online la propria rabbia, pubblicando un post su Facebook dove definisce la struttura alberghiera che lo ospita come un "porcile".

Il proprietario dell'albergo reagisce prontamente di fronte alla vasta diffusione del post incriminato, scatenando così un contenzioso legale che vede l'autore del messaggio accusato di diffamazione. Le prove, principalmente fondate sulle fotografie dei messaggi visibili su Facebook, convincono i giudici di appello della colpevolezza dell'autore del post, che viene multato con 1.500 euro.

In sostanza, i giudici condannano l'uomo per aver pesantemente offeso la reputazione del gestore della struttura alberghiera dove era temporaneamente ospitato in seguito all'evento sismico. Nonostante il legale dell'imputato cerchi di mettere in discussione l'attribuzione dei post incriminati al suo cliente e invochi l'esimente della provocazione, la Corte di Cassazione conferma la condanna in appello.

I Giudici di legittimità respingono le argomentazioni difensive, sostenendo che l'attività diffamatoria possa essere chiaramente attribuita all'uomo sotto processo, soprattutto alla luce delle discussioni pregresse con la parte offesa relative alle condizioni della struttura e alla qualità del menu. La difesa basata sullo stato psicologico del cliente al momento dei fatti non risulta sufficiente per giustificare l'azione provocatoria, considerando l'assenza di comportamenti specifici ostili da parte del gestore dell'albergo. La sentenza conferma, quindi, la condanna dell'uomo, vista la gravità dell'offesa arrecata e i danni materiali subiti dalla persona offesa a causa dei danneggiamenti subiti nelle camere e delle cancellazioni delle prenotazioni da parte di potenziali clienti, causate dalle parole offensive pubblicate sul noto social network. (Cass. pen., sez. V, ud. 24 ottobre 2023 (dep. 19 febbraio 2024), n. 7358)

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