Il nipote detenuto può ottenere un permesso per recarsi sulla tomba del nonno
È irrilevante il fatto che i due non vivessero insieme ai fini della concessione di un permesso per recarsi sulla tomba. Anche i nonni rientrano infatti nella cerchia dei prossimi congiunti, ovvero dei soggetti il cui decesso giustifica la concessione di un permesso per il detenuto

La Cassazione ribalta la decisione comune del magistrato di sorveglianza e del Tribunale di sorveglianza che avevano inizialmente negato ad un detenuto il permesso richiesto per recarsi sulla tomba del nonno.
Dalla ricostruzione della vicenda è emerso che il nipote voleva recare al cimitero dove è sepolto il nonno allo scopo di fruire di un momento di raccoglimento sulla tomba posto che non aveva potuto partecipare al funerale. Per i giudici di sorveglianza, però, la mancanza di convivenza, in passato, tra il detenuto e il nonno è stata determinante nel negare il permesso in quanto i nonni non conviventi non rientrano nel novero dei parenti stretti che legittimano la concessione della uscita di necessità invocata dal detenuto.
La difesa propone ricorso in Cassazione ritenendo illegittima la subordinazione della concessione del permesso alla convivenza tra il detenuto e il familiare deceduto, come richiesto in sede di merito.
L’obiezione risulta fondata. La Cassazione richiama in primo luogo il quadro generale in tema di permessi ai detenuti ricordando che possono essere concessi permessi ad hoc solo eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità, inclusi quelli che «riguardano la nascita e la morte di soggetti che intrattengano relazioni qualificate con il detenuto e che quindi siano riconducibili alla nozione di prossimi congiunti». In linea teorica, è dunque possibile accogliere «la richiesta di permesso formulata per consentire al detenuto di recarsi a pregare sulla tomba del congiunto prematuramente scomparso».
Tornando al caso di specie, la sentenza precisa che «tra gli eventi particolarmente gravi e correlati con la vita familiare rientra anche la morte del nonno, che giustifica l’esigenza del detenuto, che non abbia, in virtù della sua contingente condizione, preso parte alle esequie del familiare, di vivere un momento di raccoglimento e preghiera sulla sua tomba». Anche perché si tratta di «un fatto eccezionale e cioè non usuale, particolarmente grave, giacché idoneo ad incidere profondamente nella vicenda umana del detenuto, e pertanto sul grado di umanità della detenzione, e rilevante per il suo percorso di recupero». Di conseguenza, «se gli fosse negata siffatta opportunità, il detenuto si vedrebbe privato, in tal modo, di un momento di profonda umanità, quale il sostare (poco importa se in preghiera o meno) davanti alla tomba di un familiare, importante per la sua rieducazione e per la sua risocializzazione».
Non è dunque sufficiente il mero riferimento ad esigenze di sicurezza pubblica per impedire o comunque comprimere in modo completo la possibilità per il detenuto di fruire del permesso concepito per venire incontro a circostanze drammatiche della vita familiare. A dimostrazione di ciò, è la legge stessa a prevedere la possibilità di una scorta per il detenuto.
Risulta infine erronea l’affermazione del Tribunale di sorveglianza nel sostenere che «la relazione parentale tra nonno e nipote detenuto, non accompagnata dalla convivenza, non può assumere intensità da qualificare in termini di gravità ed eccezionalità l’evento che ha dato impulso alla proposizione dell’istanza» (Cass. pen., sez. I, dep. 12 giugno 2024, n. 23537)