In caso di truffa ai danni della convivente non si applica la causa di non punibilità prevista per i congiunti
Impossibile, secondo la Cassazione, applicare anche ai conviventi la causa di non punibilità prevista dal codice penale per i fatti commessi a danno di congiunti.

Un uomo è stato accusato di avere truffato l’oramai ex compagna per 28mila euro, convincendola per cinque mesi di trovarsi in difficoltà e in pericolo all’estero – mentre, invece, era al sicuro in Italia – e di avere perciò bisogno di denaro.
I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, sanciscono una condanna per truffa, oltre a riconoscere risarcimento in favore della donna, costituitasi parte civile.
Con il ricorso in Cassazione, la difesa contesta la condanna e chiede la non punibilità dell’uomo sulla base dell’esistenza, all’epoca dei fatti, di una convivenza di fatto tra l’imputato e la persona offesa. Il ricorso invoca infatti l’applicazione della non punibilità prevista dal codice penale per i fatti commessi a danno di congiunti.
Per la Cassazione, però la tesi difensiva non ha fondamento. Infatti, «la causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista per il coniuge non si estende al convivente more uxorio» e, allo stesso modo, essa non può riguardare «i rapporti di convivenza».
Su questo punto viene richiamata la legge Cirinnà, dalla quale emerge «l’intento del legislatore di voler attribuire rilievo, ai fini dell’operatività della causa di esclusione della pena», in caso di fatti commessi a danno dei congiunti, «all’esistenza di una convivenza qualificata, differenziandola quindi da quella more uxorio».
Impossibile, in altre parole, escludere la punibilità se la vittima è legata all’autore del reato da una relazione familiare de facto.
Per la causa di non punibilità prevista in caso di fatti commessi a danno di congiunti la rinuncia alla pena risponde a ragioni di opportunità politica, che sono del tutto estranee al tema del disvalore oggettivo del fatto o della situazione esistenziale psicologica del soggetto che ha compiuto il fatto, posto che la condotta in tal caso non è stata determinata dalla presenza di circostanze peculiari, che hanno influito sulla volontà del soggetto, sì da non potersi esigere un comportamento alternativo (Cass. pen., sez. II, sent., 12 luglio 2024, n. 28049).