Incostituzionale la norma che impone il controllo a vista in caso di colloquio “di coppia” dei detenuti

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che impone il controllo a vista del personale penitenziario in caso di colloqui del detenuto con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona stabilmente convivente.

Incostituzionale la norma che impone il controllo a vista in caso di colloquio “di coppia” dei detenuti

L’illegittimità della norma si manifesta quando, tenuto conto del comportamento del detenuto in carcere, non vi siano ragioni ostative in termini di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.

«L’ordinamento giuridico» – ha affermato la Corte – «tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società».

La norma oggetto della sentenza n. 10/2024, nel prescrivere in modo inderogabile il controllo a vista sui colloqui del detenuto, impedisce di fatto di esprimere l’affettività con le persone stabilmente legate, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza.

La Corte ha pertanto riscontrato la violazione degli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. «per la irragionevole compressione della dignità della persona causata dalla norma in scrutinio e per l’ostacolo che ne deriva alla finalità rieducativa della pena. Rammentato che una larga maggioranza degli ordinamenti europei riconosce ormai ai detenuti spazi di espressione dell’affettività intramuraria, inclusa la sessualità, la Corte ha ritenuto altresì violato l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, per il difetto di proporzionalità di un divieto radicale di manifestazione dell’affettività “entro le mura”».

Nell’indicare alcuni profili organizzativi implicati dalla propria pronuncia, la Corte ha auspicato un’«azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze», «con la gradualità eventualmente necessaria».

Infine, la Corte ha precisato che, in coerenza con l’oggetto del giudizio principale, la sentenza non concerne il regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis della legge sull’ordinamento penitenziario, né i detenuti sottoposti alla sorveglianza particolare di cui all’art. 14-bis della stessa legge.

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