Inerte di fronte alla richiesta del test del DNA: condotta che può contribuire ad accertare la paternità dell’uomo
Inequivocabile, secondo i giudici, il comportamento tenuto dall’uomo. Legittimo ritenerne acclarata la paternità

I rapporti sessuali accertati e collocati nel periodo del concepimento del bambino e la mancata risposta alla richiesta di sottoporsi al test del DNA consentono di ritenere acclarata la paternità dell’uomo indicato dall’ex compagna come il vero padre del figlio. I giudici ritengono esistente la prova presuntiva dell’esistenza del rapporto di paternità naturale e dei rapporti sessuali tra la madre ed il preteso padre in considerazione di plurimi elementi, cioè: previo accertamento giudiziale, con esecuzione del test del DNA, circa il fatto che il bambino non è il figlio dell’uomo che, in quanto compagno della madre, lo ha riconosciuto, almeno in un primo momento, reputando, in buonafede, di esserne il padre; il fatto pacifico che vi sono stati rapporti fisici tra la donna e il presunto padre; la completa inerzia serbata dall’uomo a fronte degli inviti a sottoporsi al test del DNA, reiteratamente rivoltigli dall’ex compagna; infine, il rifiuto a sottoporsi alla consulenza tecnica genetica, disposta dal giudice, nonostante tutte le necessarie garanzie di riservatezza per la sua attuale famiglia. Inequivocabile, quindi, il complessivo comportamento processuale dell’uomo. (Ordinanza 21409 del 6 luglio 2022 della Corte di Cassazione)