Le palpa il sedere al bar, datore di lavoro condannato

La barista è stata costretta a subire il palpeggiamento del sedere da parte del datore di lavoro e la Cassazione conferma la condanna per violenza sessuale.

Le palpa il sedere al bar, datore di lavoro condannato

In un locale dell’Emilia-Romagna il datore di lavoro è stato condannato per il reato di violenza sessuale per aver toccato il sedere a una propria dipendente. La condanna emessa in primo grado è stata confermata anche dai giudici d’appello.

Con il ricorso per cassazione il difensore dell’imputato muove dell’attendibilità del racconto fatto dalla vittima che «nutre malanimo e risentimento nei confronti dell’ex datore di lavoro» e che «non è riuscita a ricostruire in quale giorno ed a quale ora si sarebbe perpetrato il toccamento nel locale». Inoltre, il difensore argomenta che dalla struttura del locale si può evincere l’involontarietà e la fugacità del gesto da parte del datore di lavoro, non frutto di una condotta di carattere sessuale.

Secondo i Giudici di legittimità, però, il racconto fornito dalla donna è sufficiente per provare la penale responsabilità dell’ex datore di lavoro. Infatti, come anche sostenuto dai giudici di appello, «la donna non aveva alcun reale movente per incolpare falsamente l’uomo di un atto sessuale, considerato che la sproporzione tra le sue forze economiche e quelle del suo ex datore di lavoro rendeva inopportuna ed impegnativa una denuncia penale». Inoltre, «rientrava in una legittima scelta personale della donna di decidersi a sporgere querela per l’abuso subito dopo aver appreso che l’ex datore di lavoro, oltre ad aver compiuto atti invasivi della sua sfera sessuale, aveva parlato di lei in termini pesantemente volgari e diffamatori con gli ex colleghi e con i clienti». Anche il racconto fatto dalla donna subito dopo il fatto all’ex collega e al fidanzato sono sostanzialmente sovrapponibili alla versione da lei fornita in corso di giudizio, mentre le imprecisioni temporali sono «plausibilmente giustificabili in ragione della difficoltà di ordinare, dal punto di vista cronologico, le molteplici condotte prevaricatorie subite» dall’ex datore di lavoro.

I Giudici di legittimità ricordano anche che «tra gli atti idonei ad integrare il delitto di violenza sessuale vanno ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, purché ovviamente riguardino zone erogene su persona non consenziente, come, ad esempio, un palpeggiamento». Anche perché «il reato di violenza sessuale non necessita, in alcun modo, dell’esistenza di uno specifico requisito soggettivo, consistente nel soddisfacimento sessuale del soggetto [perché] il bene giuridico tutelato dalla fattispecie prevista dal Codice Penale è la libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali, una libertà assoluta ed incondizionata, che non incontra limiti nelle intenzioni che il soggetto può essersi prefisso». E ancora «ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia finalizzata a soddisfare il piacere sessuale del soggetto, in quanto è sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, mentre l’eventuale concorrente finalità ingiuriosa o minacciosa o ludica del soggetto non esclude la connotazione sessuale dell’azione». (Cass. pen., sez. III., ud. 22 novembre 2023 (dep. 6 marzo 2024), n. 9450)

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