Mancano le prove del radicamento in Italia: legittima la consegna dello straniero al Paese richiedente
Accolta l’istanza di consegna delle autorità giudiziarie rumene. Secondo i giudici, le condotte dallo straniero (con due condanne in patria) dimostrano la sua discontinua e saltuaria presenza sul territorio italiano.

Un uomo, originario della Romania, da tempo si trova in Italia ma è oggetto di un mandato di arresto europeo, richiesto dalle autorità giudiziarie del suo Paese di origine in esecuzione sia di una condanna del 2022 per i reati di rissa e disturbo della quiete pubblica commessi a Bucarest, che di una seconda condanna del 2016 per sequestro di persona.
Per i giudici di merito italiani va disposta la consegna dello straniero alle autorità giudiziarie rumene, con la convalida dell’arresto dello straniero e l’applicazione della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria.
La difesa ha provato la strada del ricorso in Cassazione lamentando la mancata considerazione del forte legame, da oltre 6 anni, con il territorio italiano, prova del suo radicamento in Italia.
Per la Cassazione, però, il ricorso risulta infondato.
Ricordano infatti i Supremi Giudici che «secondo la Corte di giustizia dell’Unione Europea, gli Stati membri, nell’attuazione della decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea, sono liberi di scegliere di limitare le situazioni nelle quali l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo, agevolando cosi Ia consegna delle persone ricercate, conformemente al principio del riconoscimento reciproco e svolgere una valutazione che non ecceda quanto necessario a garantire che la persona ricercata presenti un grado di integrazione certo nello Stato membro di esecuzione» del mandato d’arresto europeo. Unico limite per il legislatore nazionale è il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi sanciti in ambito europeo. Da ciò deriva che «la fissazione del termine minimo quinquennale indicato dalla normativa italiana è pienamente compatibile con la ‘decisione quadro’ del Consiglio dell’Unione Europea».
Viene quindi confermata la decisione dell’appello: «il periodo di cinque anni di legittima, effettiva e continuativa residenza (o dimora) dello straniero nel territorio italiano deve essere ininterrottamente calcolato dopo la commissione del delitto per il quale è chiesto il mandato di arresto europeo».
Anche se la normativa riconosce «l’interesse ad eseguire la pena in Italia», la legge prosegue precisando la condizione che «lo straniero risulti dimorante o residente legittimamente ed effettivamente nel territorio italiano, in via continuativa, da almeno cinque anni secondo criteri, indicati dalla normativa, dimostrativi del concreto radicamento nello Stato». E la residenza «presuppone la prova di una integrazione reale, continuativa e non estemporanea della persona straniera nello Stato», e ciò «attraverso una serie di indici rivelatori».
Nella vicenda in esame, invece, risulta che lo straniero è stato sottoposto a fermo in Romania nell’agosto del 2015, per due sequestri di persona per i quali é stato condannato con sentenza dell’aprile del 2016, e poi nel settembre del 2019 ha commesso i reati di rissa e disturbo della quiete pubblica. Tali fatti dimostrano indubbiamente la sua discontinua e saltuaria presenza sul territorio italiano.
Per questi motivi, il ricorso non può trovare accoglimento (Cass. pen., sez, VI, dep. 9 luglio 2024, n. 27165).