Marito violento verso moglie e figlia: l’interruzione della convivenza non esclude il reato di maltrattamenti in famiglia
Fondamentale l’interesse dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti

Lo stop alla convivenza coniugale non rende meno gravi i comportamenti aggressivi dell’uomo nei confronti della moglie e della figlia. Sacrosanto perciò parlare comunque di maltrattamenti in famiglia. I giudici, prendendo in esame le accuse a carico di un uomo, chiariscono che il concetto di rapporto familiare quale presupposto del reato di maltrattamenti e la interrelazione con la effettiva convivenza in presenza di una famiglia fondata sul divorzio si declinano diversamente dal caso in cui le condotte aggressive e violente si innestano su un rapporto familiare di fatto. I giudici aggiungono poi che i maltrattamenti nei confronti del coniuge e della prole costituiscono un reato contro l’assistenza familiare, poiché il bene giuridico protetto è costituito dall’interesse dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dall’interesse delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica. Ciò significa che i comportamenti aggressivo dell’uomo, in questa vicenda, ledono non solo i singoli soggetti, cioè la moglie e la figlia, ma l’essenza stessa del rapporto di affidamento reciproco che del rapporto familiare derivante dal matrimonio costituisce il tratto fondante. (Sentenza 15625 del 21 aprile 2022 della Corte di Cassazione)