Nessuna sanzione per il pezzo giornalistico che allude a presunti “rimborsi d’oro” per pubblici amministratori
Impossibile catalogare come diffamatorio il pezzo giornalistico allusivo che lancia l’allarme, con titolo ad hoc, per presunti ‘rimborsi d’oro’ ai commissari straordinari di un Comune.

Scenario della vicenda è il territorio pugliese. A finire sotto processo è il direttore di un quotidiano locale: a suo carico vi è l’accusa di «avere offeso», nel novembre del 2020, «la reputazione di tre commissari straordinari del Comune», facendo esplicito riferimento in un pezzo giornalistico, e nel relativo titolo, a presunti “rimborsi d’oro” in loro favore. Per il giudice di primo grado è diffamatorio il titolo del pezzo pubblicato dal quotidiano locale, ma, allo stesso tempo, vista la non gravità del fatto, va assolto il direttore del giornale. Il direttore è comunque tenuto a risarcire il danno arrecato ai commissari straordinari del Comune presunti destinatari dei “rimborsi d’oro”. Nonostante la vittoria in Tribunale, però, il direttore del quotidiano locale decide di proporre ricorso in Cassazione perché: «l’assenza dell’elemento oggettivo del reato di diffamazione, mancando la carica offensiva e lesiva della reputazione» dei commissari straordinari del Comune «nel testo del pezzo» pubblicato dal quotidiano ed essendo palese anche «l’assenza di toni palesemente offensivi o denigratori». I Giudici di Cassazione accolgono in toto la visione proposta dal legale che difende il direttore del quotidiano sostenendo che non vi sia valenza offensiva nelle espressioni utilizzate. Affermano, infatti, che ai passaggi incriminati nel pezzo «deve riconoscersi la completa mancanza di qualsiasi attitudine o valenza offensiva della reputazione» delle persone citate. Seppur sia vero che alcune frasi «alludono ad una determinazione piuttosto elevata dei compensi dei commissari straordinari del Comune e il sintagma “rimborsi d’oro” si rivela icasticamente evocativo in tal senso. Tuttavia, all’espressione metaforica non seguono contenuti che rimandino ad illiceità di sorta, riferite alla quantificazione concreta dei compensi, bensì la mera cronaca dell’esistenza di un “caso”, sorto in relazione all’entità dei rimborsi dei commissari straordinari, nel contesto politico-amministrativo di riferimento». Continuano sostenendo che nel caso di specie non vi sia stata una narrativa di tipo diffamatorio perché non vi è una carica offensiva percepibile nel brano giornalistico. Sostenendo una diversa tesi, «la scure della rilevanza penale» prevista per il reato di diffamazione «si leverebbe a reprimere le intenzioni possibili e sottostanti a frasi pronunciate o scritte e non, come invece dovrebbe, l’esternazione materiale percepibile del pensiero che si è in concreto e nella realtà realizzata». Quindi il contenuto diffamatorio di allusioni e insinuazioni contenute in uno scritto non assume rilevanza penale nel caso in cui non sia immediatamente e inequivocabilmente percepibile come offensivo secondo i parametri di comune comprensione. (Cass. pen., sez. V, ud. 24 ottobre 2024 (dep. 1 febbraio 2024), n. 4563)