Per la condanna per guida in stato di ebbrezza basta lo stato confusionale al momento dell’incidente

Inutile per la difesa invocare l’inutilizzabilità degli accertamenti medici. Decisivo è stato il comportamento dell’automobilista di fronte agli agenti intervenuti sul luogo del sinistro

Per la condanna per guida in stato di ebbrezza basta lo stato confusionale al momento dell’incidente

Il caso riguarda la condanna di un automobilista coinvolto in un incidente lungo una strada della provincia lombarda. La vicenda giudiziaria si è conclusa con la conferma della pena sia in Appello che in Cassazione. I giudici hanno infatti stabilito la legittimità della condanna, che prevede 6 mesi di arresto e una multa di 1.500 euro, con l'aggiunta della revoca della patente di guida come sanzione amministrativa accessoria.

Secondo le autorità giudiziarie non vi sono dubbi sulla gravità del comportamento dell'automobilista, il quale è stato trovato a guidare in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico superiore a 1,50 grammi per litro, limite previsto dal codice della strada, causando anche un incidente stradale. La difesa dell'imputato ha tentato di contestare la validità degli accertamenti medici effettuati a seguito della segnalazione della polizia, ma senza successo.

La Cassazione ha ribadito che l'accertamento dell'ebbrezza può prescindere dagli esami strumentali, basandosi su elementi sintomatici. Nel caso in questione, gli elementi oggettivi e sintomatici, come lo stato comatoso e la manifesta incapacità del conducente di controllare il veicolo ed addirittura di rispondere alle domande rivoltegli dagli agenti intervenuti sul posto, hanno portato i giudici a confermare la condanna.

Nonostante le argomentazioni difensive sul mancato espletamento di un esame alcolimetrico, i magistrati hanno sottolineato che la presenza di evidenti segni di ebbrezza e la condotta inadeguata dell'automobilista hanno suffragato la decisione, confermando la condanna e lasciando chiare poche speranze per una revisione ulteriore del verdetto (Cass. pen., sent. 27 maggio 2024, n. 20763).

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