Pubblica un video definendo la dipendente del C.U.P. “incompetente”: condannata per diffamazione

Non è giustificabile l'azione di una donna, basandosi sul presupposto che abbia solo reagito a un disservizio

Pubblica un video definendo la dipendente del C.U.P. “incompetente”: condannata per diffamazione

È considerata diffamante la condotta tenuta un privato che, attraverso un video online, ha definito una dipendente pubblica come "mezzacalzetta", "incompetente" e "mela marcia". Questa condotta è stata considerata diffamazione e non può essere giustificata come reazione a un disservizio. L'episodio risale al 2015, dove una donna recatasi in ospedale si scontra con un inaspettato aumento della tariffa per il referto medico richiesto. Tale situazione scatena una serie di eventi che culminano in un video diffamatorio pubblicato online.

Nonostante l’intervenuta prescrizione, la donna deve comunque risarcire la dipendente del "Centro Unico Prenotazioni" dell'ospedale. L'avvocato difensore della donna sostiene che le espressioni non erano volte a offendere personalmente la vittima, ma a criticarne l'approccio professionale. Tuttavia, questa tesi non convince la Corte di cassazione, in quanto le parole utilizzate erano chiaramente offensive e non idonee a criticare esclusivamente le modalità lavorative della dipendente.

Il video è considerato diffamatorio in quanto le espressioni denotano un'intenzione sprezzante nei confronti della destinataria, violando i limiti della critica ammissibile: le azioni dell'autrice del video, infatti, colpiscono direttamente la dignità professionale della dipendente. Inoltre, il video non è giustificato come una reazione istintiva causata da un aumento di spese, ma piuttosto rappresenta un atto deliberato di vendetta e diffamazione.

La pubblicazione ripetuta e dilazionata del video, sia su Facebook che su un sito di una testata giornalistica, dimostra che non si trattava di una reazione impulsiva: l'autrice del video ha scelto di diffondere il contenuto per esprimere un senso di rivalsa piuttosto che per ragioni legittime di denuncia di un disservizio.

In conclusione, il comportamento della donna è stato considerato diffamatorio e non giustificabile come reazione ad un disservizio (Cass. n. 25018 del 25 giugno 2024).

News più recenti

Mostra di più...